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La casa della poesia

Víctor Rodríguez Núñez | Canto XXXII, Inferno



Víctor Rodríguez Núñez

Nato a Cuba, ha vissuto in Nicaragua e Colombia e attualmente risiede negli Stati Uniti. Ha un figlio fisico, per il quale ha scritto una poesia intitolata “Elogio del Neutrino”. È un estimatore di vini italiani e apprezza la nostra cucina. È anche critico letterario e traduttore e ha vinto importanti premi di Poesia, tra cui il prestigioso Premio Internazionale della Fondazione Lowe in Spagna.


Canto XXXII Inferno, vv. 1-15

S’io avessi le rime aspre e chiocce,

come si converrebbe al tristo buco

sovra ’l qual pontan tutte l’altre rocce,


io premerei di mio concetto il suco

più pienamente; ma perch’io non l’abbo,

non sanza tema a dicer mi conduco;


ché non è impresa da pigliare a gabbo

discriver fondo a tutto l’universo,

né da lingua che chiami mamma o babbo.


Ma quelle donne aiutino il mio verso

ch’aiutaro Anfione a chiuder Tebe,

sì che dal fatto il dir non sia diverso.


Oh sovra tutte mal creata plebe

che stai nel loco onde parlare è duro,

mei foste state qui pecore o zebe!


Commento

Ho scelto queste terzine dal Canto XXXII della Divina Commedia perché sono autoreferenziali, perché rendono esplicita la consapevolezza di Dante Alighieri della poesia e del poeta. Qui non c'è dubbio che, secondo il soggetto poetico, la poesia sia una rappresentazione della realtà. Non c'è l'intenzione di nascondere il significante, di presentare tutto come significato, e così usurpare la realtà. Né c'è la minima intenzione di offrirci un io poetico forte e sicuro di sé che si senta in grado di svolgere il suo compito. Non c'è nemmeno l'intenzione di presentare la poesia come uno strumento potente e infallibile nella ricerca della conoscenza, per arrivare al fondo del mondo. Per quanto riguarda la condizione del poeta, la menzione delle donne e di Anfione è significativa, perché legittimano il lato delicato della persona, legato alla creazione artistica. Secondo la mitologia greca, nella costruzione delle mura di Tebe, mentre suo fratello gemello Zeto faticava a portare le pietre, Anfione le spostava con il solo pizzicare della sua lira. Una legittimazione sociale del debole, di colui che manca di forza fisica, dell'eroe lirico. Tutto questo fa della Divina Commedia un poema non solo moderno ma proprio attuale, rilevante per un poeta latino americano del XXI secolo come me.


Víctor Rodríguez Núñez

18 marzo 2021

 

Dante Alighieri, Divina comedia. Edición de Giorgio Petrocchi y traducción de Luis Martínez de Merlo. Madrid: Cátedra, 2007. 268-269.


Canto XXXII


Si rimas broncas y ásperas tuviese,

como merecería el agujero

sobre el que apoyan las restantes rocas


exprimiría el jugo de mi tema

más plenamente; mas como no tengo,

no sin miedo a contarlo me dispongo;


que no es empresa de tomar a juego

de todo el orbe describir el fondo,

ni de lengua que diga “mama” o “papa”.


Mas a mi verso ayuden las mujeres

que a Anfión a cerrar Tebas ayudaron,

y del hecho al decir no sea diverso.


¡Oh sobre todas mal creada plebe,

que el sitio ocupas del que hablar es duro,

mejor sería ser cabras u ovejas!



Escogí estos tercetos del Canto XXXII de Divina comedia por ser autorreferenciales, por hacer explícita la conciencia de Dante Alighieri sobre la poesía y el poeta. Aquí no queda la menor duda de que, según el sujeto poético, la poesía es representación de la realidad. No hay la intención de ocultar el significante, de presentarlo todo como significado, y así usurpar la realidad. Tampoco hay el menor propósito de ofrecernos un yo poético fuerte, seguro de sí mismo, que se siente capaz de realizar su tarea. Incluso, no hay la intención de presentar la poesía como una herramienta poderosa, infalible en la búsqueda del conocimiento, de llegar hasta el fondo mismo del mundo. En cuanto a la condición del poeta, la mención a las mujeres y a Anfión es significativa, porque legitiman el lado delicado de la persona, relacionado con la creación artística. Según la mitología griega, en la construcción de la muralla de Tebas, mientras su hermano gemelo Zeto se esforzaba en cargar las piedras, Anfión con el solo pulsar de su lira las movía. Una legitimación social del débil, del carente de fuerza física, del héroe lírico. Todo esto hace a Divina comedia un poema no sólo moderno sino de ahora mismo, relevante para un poeta hispanoamericano del siglo XXI como yo.


Víctor Rodríguez Núñez

18 de marzo de 2021



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