Abbiamo rivolto alcune domande a poetesse e poeti che parteciperanno alla XII edizione del Festival Europa in Versi per provare a conoscerli meglio, ecco cosa ci hanno raccontato:
Quando hai capito che la poesia faceva parte in modo ineludibile della tua vita? Sono nata e vivo a Sirmione, un luogo bellissimo e celeberrimo cantato da moltissimi poeti, a partire da Catullo: il suo XXXI Canto lo conosco dall’infanzia. La consapevolezza che luoghi, sentimenti ed emozioni (stati d’animo), con le persone e la storia, si riflettono nella poesia che li canta, si è approfondito negli anni alimentati dalla lettura di opere poetiche, una attività – la lettura – che continua ad essere essenziale nella mia vita.
Perché scrivi in poesia? E se non scrivi solo poesia, cosa ti fa propendere a volte sì e a volte no, verso la scelta di questo linguaggio? La mia poesia nel dialetto di Sirmione è nata nell’oralità, in versi brevi, rimati e ritmati che mi permettevano di ricordare testi che poi ripetevo a memoria a mio marito. La scrittura è sopraggiunta più tardi. Scrivere poesia è diventato una necessità. In prosa sono solo le mie collaborazioni a qualche giornale o rivista e i commenti alle poesie su varie forme di demenza usciti prima sulla rivista “Psicogeriatria” e poi raccolte in “Alzheimer d’amore”, Interlinea.
Quale pensi sia il ruolo della poesia oggi? Dipende dallo spazio che si decide di dare alla poesia nella propria vita. Innanzitutto come lettori. Alla poesia si possono porre le grandi domande sulla vita, sull’amore, sul senso dell’esistenza ecc. Basta guardare alla molteplicità di poemi, poesie e raccolte di poesia sorti (e pubblicati) dal diffondersi del Covid-19: opere nate dal bisogno di interrogarsi su se stessi, sulla propria vita, sulla propria solitudine e su quella degli altri, per comprendere quanto importante sia la poesia che affronta temi così ineludibili: l’isolamento, la malattia, la morte, il destino dell’essere umano e dei popoli nella natura così compromessa messo ancora più in luce dalla pandemia. In che modo può contribuire a migliorare la nostra società? Te lo chiediamo anche in relazione al tema del festival Europa in versi di quest’anno che è Località e Globalizzazione. La poesia è una forma di conoscenza: di sé, degli altri, della natura, della storia, del mondo; arricchisce il patrimonio culturale della singola persona e del gruppo culturale a cui questa appartiene e si confronta con l’alterità (popoli e culture diverse). Il suo contributo è quello di mettere in comune i valori fondamentali della condizione umana in quanto tale, di cantare la gioia, l’amore e la bellezza, ma anche le fratture e il dolore e di denunciare le ingiustizie, le guerre, i crimini e le violenze che si rinnovano in ogni angolo del pianeta.
Come il poeta trae forza dalla propria “località” per essere universale? È possibile anche l’inverso? La conoscenza profonda del proprio luogo di appartenenza, amato e interiorizzato, chiede di allargare il proprio sguardo con la stessa attenzione verso altri luoghi, altre genti, altri universi, altre storie cantate in altre lingue. Il luogo di Andrea Zanzotto entra nella sua poesia con la sua memoria geologica e storica, e talvolta anche con la lingua del luogo: il dialetto di Soligo o petel dell’infanzia che Zanzotto ha alternato nella sua produzione poetica all’italiano iperletterario, con la denuncia della bellezza del paesaggio oltraggiata in modo irreversibile nella nostra società degradata. E sì, la conoscenza di situazioni e luoghi altri alla luce della poesia allarga concretamente il luogo in cui abitiamo perché la poesia di ogni poeta è un mondo, un intero universo in cui ci è dato di entrare, secondo le esperienze che il poeta ha fatto e che la sua parola rivela.
Nel passaggio da una lingua all’altra per la poesia si può parlare di traduzione o piuttosto di trasposizione, con sensi e significati che da un sistema culturale all’altro vanno persi, ma anche si aggiungono? Si possono realizzare entrambe le soluzioni: la traduzione o la trasposizione. Nel mio caso l’auto-traduzione dal dialetto all’italiano avviene entro il medesimo sistema culturale. Ma la traduzione, in ogni caso (o le traduzioni, quelle che si sono succedute nel tempo, per i testi antichi o classici), è sempre una grande ricchezza culturale perché fa comprendere e riflettere sulle diverse concezioni del mondo, sul pensiero, lo stile e il tempo dell’autore del testo originale e sulle differenze con il testo di arrivo. È una felicissima avventura (da intraprendere con l’accompagnamento di critici e studiosi) quella di confrontare traduzioni diverse succedutesi nel tempo. Una grande ricchezza viene offerta anche dalla traduzione di poeti contemporanei, radicati in cultura affine alla nostra o che attingono a culture, tradizioni, usi, costumi, fedi e mitologie altre, che ogni autore interpreta secondo la propria poetica. La traduzione ci permette di accedere ad opere animate da valori diversi, anche a quelle opere di autori portatori di culture indigene, da conoscere nel contesto storico culturale in cui sono state concepite, da salvare dal naufragio della memoria. Interessante anche poter notare l’influenza che il lavoro di traduzione esercita sull’opera di un traduttore che sia anche autore e viceversa.
Poesia e prosa: oggi il confine tra i due generi è sempre più labile. Cosa pensi di questa tendenza? Ogni poeta è libero di scegliere e sperimentare. Mi pongo come semplice osservatrice di questa tendenza. Noto che talvolta basterebbe togliere gli a-capo per unire i versi e trasformare una poesia di tono colloquiale in una prosa, ed anche che talvolta basterebbe spezzare il testo in prosa con gli a-capo per incolonnarlo in una poesia. Mi importa l’incisività del dettato poetico e l’argomentare dell’autore.
In che cosa si esplicita per te il proprio del linguaggio poetico? Non lo so bene. Come lettrice riconosco ciò che sento come linguaggio poetico quando i ritmi e i suoni delle parole nei versi di un testo mi catturano, o mi sorprendono, o mi offrono una prospettiva diversa su qualcosa. Oppure mi offrono un’alterità da tenere assolutamente distinta ma che può introdurre mutamenti nel mio modo di sentire e pensare. Forse il linguaggio poetico può far avvenire in me ciò che ha mosso il poeta a scrivere. Talvolta mi fa intuire l’indicibile. Mi avvicina il lontano, ha la capacità di evocare gli assenti. Attraverso le immagini, chiama la mia immaginazione verso la visionarietà del poeta. Dà spazio al silenzio e impone l’ascolto. È linguaggio poetico quando l’epifania che ha folgorato il poeta sa farsi spazio in me e produce un significativo allargamento e una nuova profondità del mio orizzonte. Uno dei moti della poesia è quello di far sorgere il canto non solo dall’incanto, dallo splendore delle cose; nella musica della poesia trovano parole il vuoto, le ossessioni, le angosce esistenziali, le grandi domande che continuano ad interrogarci nella ricerca di senso.
La poesia e le nuove generazioni: poetry slam, cantautori… pensi che la poesia diciamo “tradizionale” possa felicemente contaminarsi con questi generi per interessare ampie fasce della popolazione giovanile? Ho assistito per la prima volta a performances di poetry slam ad un festival di poesia. Non c’erano ragazzi tra il pubblico, solo poeti invitati al festival e quegli appassionati di poesia che li seguono. Di quelle esibizioni mi ha-aveva colpito l’energia dei performers, l’uso dell’intero corpo per comunicare e la loro capacità di coinvolgere gli ascoltatori con temi e suoni che miravano a creare legami di appartenenza. Ho avuto poi bisogno di leggere i loro testi. È possibile che la partecipazione agli incontri di poetry slam possa accendere nei giovani anche l’interesse per la poesia tradizionale e portarli a leggerla la poesia, oltre che a scriverla e cantarla. Vorresti dedicare una poesia al lago di Como, anche solo immaginando il paesaggio?
Da lac a lac En dé te conosaró. Tra poc. Ades so nel gnamó e sul figüre de te da chèl che de lac che so. Da chesto, dal mio, so rie e gere e sas e onde che rit e te ‘nduine barche e pontii e ‘l tò specias dei moncc sö acque fonde paes e ceze e case i za cantacc saendo del luntà. Staró. Coi occ i miraró. Me i copiarò nel co i tò löc per ricordai da chí, nel me luntà ‘ndó monta l’oia de vedii. *** Da lago a lago Un giorno ti conoscerò. Tra poco. Adesso sono nel non ancora e solo figuro di te da quel che di lago che so. Da questo, dal mio, so rive e ghiaie e sassi e onde che ridono e ti indovino barche e pontili e il tuo riflettere i monti su acque fonde paesi e chiese e case i già cantati sapendo del lontano. Starò. Con gli occhi li contemplerò. Anch’io me li copierò nella mente i tuoi luoghi per ricordarli da qui, nel mio lontano dove monta il desiderio di vederli.
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