Qual è la differenza tra una finestra e il finestrino di un treno? Il paesaggio al di fuori muta costantemente, sia che ci si affacci dall’una o dall’altro. Sono i tempi del cambiamento a segnalare la linea di confine: quando ci mettiamo in viaggio siamo noi a cambiare, ben prima e ben più velocemente del paesaggio, come se i nostri atomi si mettessero in movimento e si dimenassero con una tale rapidità da renderci troppo effimeri, non del tutto presenti. Quando viaggiamo non apparteniamo né alla partenza né alla meta, solo allo spostamento. Fuori dal finestrino di un treno le forme sono sfocate e tocca agli occhi definirle, immaginarle, disegnarle. È, questa, la condizione del viaggiatore, che Mirna Ortiz, di origini cilene ma indissolubilmente legata all’Italia, conosce bene. Nel corso della presentazione della sua prima raccolta poetica “Ventanas – Finestre”, edita da iQdB edizioni, venerdì 8 febbraio, al palazzo Lambertenghi (Como), la poetessa si è presentata a partire da un dipinto: “La Viajera”, di Camillo Mori (1928). Una donna assorta, su un treno, in attesa di qualcosa che l’osservatore non sa cosa sia. E forse nemmeno lei.
Mirna, dialogando con Laura Garavaglia, presidente de La Casa della Poesia di Como, ha raccontato di avere “le radici in aria”, una condizione di esistenza che le permette di planare dall’alto sulle cose, aguzzando la vista come fanno certi uccelli. Si può percepire, nei suoi versi, la bellezza del saper cogliere il tutto, concentrandosi al contempo sui dettagli: una possibilità che permette di ridimensionare tanto le gioie quanto i dolori, di accarezzarli.
D’altra parte, Mirna è un’artista a tutto tondo, pittrice e poetessa: nelle sue incisioni, nelle linee tracciate con l’inchiostro sulla carta, è impresso un amore sereno e attento al dettaglio, pronto a raccogliere la bellezza laddove molti vedono solo normalità. La sua esigenza d’espressione viaggia, come lei, dalla dimensione linguistica a quella dell’immagine, in un instancabile tentativo di uscire da sé per penetrare nell’altro e nel mondo che la circonda. Sempre però con una riservatezza che è fiore all’occhiello della sua personalità dolce e delicata, dotata d’una raffinatezza sottile, mai pesante, sempre incisiva. Così, nella sua raccolta potrete leggere versi di forte pregnanza civile affiancati ad affreschi linguistici di natura e lune misteriose.
Due sono le finestre che Mirna tiene spalancate nella propria poesia: quella sul passato e quella sull’ora e il qui. Da un lato - mi racconta - la sua ricerca di una casa, di un luogo dove piantare le proprie radici, non cessa mai, ma si rivolge indietro, verso un passato che sente perduto, o quantomeno nascosto. In questo senso, la sua poesia prende la forma della sua terra natia, il Cile, e la voce del suo popolo, del quale mantiene la lingua castigliana e quel senso di fragilità, dettato forse dalla paura di essere cancellato dalla storia. “Le nostre radici nell’aria./ Siamo cenere./ Ci hanno rubato la nostra storia.”
È questo un tratto di Mirna che traspare concretamente anche nella sua voce pacata, quando parla di sé, quasi a chiedere il permesso, prima di farci entrare nel suo mondo interiore. Una voce che si fa però sicura nel momento in cui si impossessa della propria lingua e dei propri versi, aggrappandosi a un senso d’identità che forse ancora sta cercando, ma la cui esigenza diventa in lei appiglio solido tanto nel percorso di vita quanto in quello artistico. Lo sguardo di Mirna infatti, pur rivolgendosi al cielo, spinto da quella sensazione di assenza totale di gravità, in cui “non sento l’attrazione della terra/ solo una chiamata delle nubi a diventare eterea”, non manca di scovare, proprio in quelle altezze celesti, il valore inestimabile della quotidianità.
E allora in questa artista dal sentire delicato non possiamo fare a meno di trovare una tensione dialettica tra il prima e l’ora, tra il qui e l’altrove, irrisolta e, proprio per questo, in grado di farsi spinta a una ricerca di sé sempre più profonda e comunicativa, nella quale è immediato riconoscersi anche dall’esterno. La poesia di Mirna non è solo gioia, non è solo dolore, ma è la serena accettazione del conflitto sempre vivo ed esistente in ogni aspetto della realtà e dal quale solo è possibile trarre nuova linfa creativa. Mirna si rivela al lettore viaggiatrice perpetua, anche nel suo sostare: è la sua mente a non conoscere la sosta, ma solo e sempre la ricerca del nuovo. “tu non ritornerai/ perché il viaggio è vita nuova/ e quella che arriverà a destinazione/ è un’altra più leggera.”
Escalera al cielo 10 marzo 2015
Subo por las escaleras del metro Plaza Egaña
me gusta ir mirando de forma directa al cielo
el piso se disuelve
el espacio
no siento la atracciòn de la tierra
sòlo un llamado de las nubes para volverme etérea,
unos segundos de vuelo antes de llegar a superficie
donde aparece la Cotidianidad
Scala per il cielo 10 marzo 2015
Salgo le scale della metro plaza Egaña
mi piace camminare con gli occhi dritti al cielo
il pavimento si dissolve
lo spazio
non sento l'attrazione della terra
solo una chiamata delle nubi a diventare eterea
alcuni secondi di volo prima di raggiungere la superficie
dove appare la Quotidianità.
Martina Toppi
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