esercizio lungimirante
fare calcoli sulle parti
riflettere su rimanenze
addentrarsi tra le parentesi
(sospendendo quel che premeva fuori)
e dire così addio all’eden degli interi
e impariamo che non possiamo sommarci subito
ma dobbiamo prima denominarci comunemente
conoscere la minima essenza condivisa
che ci moltiplichi
GEORG CANTOR MATEMATICO
entrava nella giornata fresca arco dell'oscurità
non voleva più pensare che quei simboli fossero
il suo spazio mentale
e i confini il vederli cadere ad uno ad uno
generando conoscenza
ero arrivato da lontano separandomi dalla musica
di fronte sugli scaffali
riposava la pazienza degli aristotelici
divampavano promesse
sui tetti segreti di Goettingen
non badava al mondo se non per lettera
agli studenti dall’attenzione sospesa
ai maestri calati giù via via nell'ombra
in lui l’attrazione per ciò che si misura
Fourier era già passato di lì e il suo passo grave
l'irrazionale ha fatto breccia nella mia vita fino all'osso
fino a far calare tende lungo le pareti
e attutirmi i clamori troppo fini
e in uno dei giorni senza orizzonte
tracciando la diagonale dei razionali
gli apparve la gerarchia delle infinitudini
il luogo fresco giardino di algebre
la potenza e l’aleph
il confronto terreno fra infiniti
e perdonò dio della mancanza di completezza
era l’infinito che mi apparve così vicino
la mia una sorveglianza indiscreta
risalivo arrampicandomi
lungo le pareti delle potenze
dominando i volti e i cantieri
mi dava soprassalti
la terra rimessa a nudo
tra quei due poli l'aleph e il continuo
non so se c'è il niente posso solo supporlo
si saprà prima o poi
certo che si saprà
ancora non può abitare la casa dell’indecidibile
ma nemmeno sa che diranno suo il paradiso
e fissa il guscio degli anni che ha impiegato
e ripensa a come la sua supposizione resterà in sospeso
al suo adagiarsi sul fianco dentro il freddo
verso le caverne della terra
e l’orbita arde
come per l’astronomo
ma a me che ho lasciato le case
l’astrazione rode il riposo e libera i confini
mentre aspirerei a dei contenitori adesso
ora Shakespeare sussurra
la sua innocenza dietro le porte
e i simboli gli restituiscono i luoghi dove sta andando
elargendoli a contagocce
nella ritrosia di mani e di conferenze
perché certo ora quei tetti d’incendio sono lontani
perché è solo per l'ennesima disputa che siamo sbarcati
non credo eppure
tutta la mia misera sabbia si va depositando
nei luoghi togati
e le ceneri che mi portano fin qui
hanno massa sfuggente
non è questo incontro se pure mai c'è stato
non è il padre che mi sostiene,
semmai la discontinuità nella tragedia
ma ora si spengono le luci nei corridoi
e i brividi si stringono sotto i letti
il tempo è incerto né pioggia né futuro
riesco ancora a riconoscere la mia porta
la geometria ha i suoi sogni e la sua fame
la matematica di altri mondi germinata
nel recinto della meditazione umana
come quando Lobacevskij si mosse
verso un rigore visionario
e rifondò l'assioma di rette parallele
creò per noi orocicli e orosfere
dal confine finito e irraggiungibile
il vuoto sempre un enigma e un mito
abitante con orrore delle prime
domande infantili sull’universo
quando uscire dalla casa è pensiero
e l’oltre era segnato
dall’incubo dell’abbandono
e quel vuoto sembrava proprio
lí fuori di casa in agguato
un agguato lontano e incombente
un allontanarsi da cieco
o muoversi senza ragione
abbandonando i punti cardinali
oggi sappiamo che il vuoto non esiste
ci sono ovunque fluttuazioni quantistiche
ovunque perturbazioni di campo
che fanno apparire fotoni o materia
perché anche qui lo zero
è una funzione fantasma
un valore esatto che non si può raggiungere
morire non è ricongiungersi all’infinito
è abbandonarlo dopo aver saggiato
questa idea potente
quando la specie umana sarà estinta
quell’insieme di sapere accumulato
in voli e smarrimenti
sarà disperso
e l’universo non potrà sapere
di essersi riassunto per un periodo limitato
in una sua minima frazione
il modello standard si muove
in contemporanea in molte menti
prende dal curvarsi del tempo
e dello spazio in prossimità dei soli
prende dai bosoni messaggeri
delle forze deboli e forti
da quelli di Higgs che confermano che abbiamo peso
esplora la superficie avvizzita delle nane bianche
e le rotazioni collassate dei pulsar
questo modello umano si sporge verso gli estremi
e trova radici nei calcoli e immagini
generate dalla vita terrestre
si alimenta delle tracce di particelle e collisioni
e dell’analisi del rumore di fondo dell’universo
l’uomo delle notti di stupore
si china ora ad esaminare i dati raccolti
dagli strumenti estensioni del suo corpo
il modello scende attraverso rivoli
verso un cerchio concluso
il big bang risplende sulle equazioni
come lo zero singolare
come uno zero che non ha misura
trafitti dalla costanza della luce
ripensiamo i nostri moti relativi
la solitudine è sul carrello in movimento
che ci porta lungo lo spazio
non piú indipendente
la distanza della sera
si dilata e contrae
in un tempo in cui scopriamo la bellezza
di equazioni simmetriche
andiamo riconoscendo il flusso normale delle cose
gli sbarramenti e più in centro la possibilità di perdere
le formule hanno sviluppato le incognite
anche quando la sera è un raduno di maschere
i neutrini messaggio delle supernove
attraversano incessantemente il corpo
e il cervello
ma non per questo le onde cerebrali
vengono mutate
né muta la nostra visione del mondo
muta l’occhio che davanti alla fuga
dell’acceleratore trova conferma
di questa strana materia quasi priva di sostanza
e poi sente l’emozione che il tutto
si svolge come era stato intuito
si dispone in un quadro coerente
l'anello di accumulazione
come cerchio del mondo
la fioritura metallica dei neuroni
nei rami di insofferenza al presente
i primi tre secondi
si propagano ancora nella radiazione
forse non sopravvivono
nel nostro DNA ancestrale
ma di certo li cerchiamo
nel nostro bisogno di origini
urla nella festa dei fasci collimati
dove collisioni sono generate da collisioni
particelle nascono da particelle
poi liberi affrancati
sottratti a collaborazione ancestrale
all’obbiettivo sottile si lasceranno
dimessi migreranno verso altri agglomerati
oppure tentati come in principio al caos
non più cellule messaggi in DNA cifrati soltanto
idrogeni ossigeni carbonii
il sistema di riferimento del no
sull’asse x porta il soggetto
su quello discendente il verbo
riflesso nello specchio
sul terzo trae il peso del tempo
data una sfera nella luce nera
quanto dista il suo centro dall'origine?
fermi e isolati notiamo dissonanze
e poi torniamo a casa all’ora
*
la materia della mente riallinea i suoi corpi interni
costruisce incrinature di domande
perché l’esiguità di antimateria?
perché tanta la materia oscura
narrata dalla velocità delle galassie
dalla rotazione delle stelle al loro interno?
regole altre che nel grande vuoto ci portano
e ci lasciano
*
quel che non possiamo conoscere
entra nelle formule
il nostro osservare non è innocuo
gli stati di materia sono possibilità infinite sovrapposte
quando guardiamo ne scegliamo una
*
immersi nel tempo ne indaghiamo l’inizio
curvatura e fluttuazioni di campo
smussano un inizio singolare
le storie-universo sono superfici chiuse
*
vanno male le cose nel fondo nero della battaglia
particelle messaggere e apparentamenti strani
le famiglie che dilagano
ma siamo davvero attratti dai corpi
abbiamo peso
*
un magma cosmico è il portatore di massa
si raggruma in un nuovo bosone
ne ascoltiamo l’eco ripido nelle collisioni
abbiamo bisogno di dimensioni aggiuntive
arrotolate in se stesse
a meno di evasioni occasionali
*
così tanta parte dell’esistente si sottrae
mentre nutre la nostra meraviglia
PITAGORA
Il respiro della notte è onorato
ora va ad attenuarsi lo splendore degli astri.
Pitagora dorme.
Il paesaggio lo assiste
lo accompagna nello scendere cauto su rocce
in vista del mare.
Il sonno ci viene dagli alberi
il respiro dalla luce
che attraversa una lieve fenditura
e alta si espande.
Tutto è numero egli dice
anche qui nella incomprensibile notte.
È vero: ieri c’è stato uno scatto
di superbia che ha offuscato le fronti.
Ma noi di certo veneriamo gli dei immortali
serbiamo i giuramenti onoriamo gli eroi
come egli ci insegna.
E di solito ci siamo ritirati con modestia
abbiamo cercato di non agire senza ragione
e ben sappiamo come il nostro destino sia la morte.
Il mondo ci confonde
ma noi confidiamo.
Ci asteniamo da cibo animale da fave
rinunciamo a voluttà di cibo e lussuria
e per quanto possibile in pace soffriamo.
I sogni gli giungono dagli avi.
Ora il cielo è senza disastri
chi è arrivato sa di poter scegliere.
C’è il quadrato costruito sull’ipotenusa
e ci sono i quadrati costruiti sui cateti.
Generare collegamenti è la natura umana più alta.
Dimostrare è possedere
una parte di mondo dopo averla osservata
condividere una regione del linguaggio.
Frase genera frase e il buio si dirada.
Non portiamo fuori la notte
perché di cose pitagoriche sappiamo
non si debba senza lume conversare.
Tutto è serbato nelle nostre menti
e nei lineamenti tranquilli dei volti.
Tutto è numero – dice.
E ci dispone le proporzioni armoniche
dei suoni e degli astri.
Si pone dietro un telo
perché tutto sia nell’appartenenza
come un viaggio di abbandono
o come i nostri inverni ci cercano
il nostro muoverci negli spazi stellari.
E noi gli crediamo.
Che torneremo a dormire e a guardarci dormire
a far scorrere tra le nostre dita
questa stessa sabbia in un ciclo futuro
vedevo sulle pagine
la struttura sistolica delle formule
il semicerchio della parentesi
il taglio delle frazioni
il sigma sistema di sorprese infinite da sommare
la esse allungata dell'integrale
che misura forme non regolari
e i gruppi perfetti nelle operazioni semplici e chiuse
e allora nella luce bianca della scrivania
la proiezione sulle mensole e il letto
diventare una geometria proiettiva della stanza
e la mia attenzione un fascio aggiuntivo di luce
posato sulle pagine che scorrevano
e uscivo dalla selva dell'incomprensione
per avventurarmi verso le figure dei pianeti
probabilmente in una stanza diversa
ci sembrerà di ascoltare le stesse voci
e un respiro nella notte sarà tardissimo
*
solo rivedendo la forma
avremo spiragli sui possibili
per tutti i treni perduti
gli orari mai consultati
*
prendere infine in prestito qualcosa
dalla libreria delle stagioni
con le storie che si erano ammonticchiate
mentre si decideva
*
così le cellule del viso i loro attimi
la sincronia tesa col verde
con la modestia dei cespugli
*
lungo le tue sillabe
lievita la tua stanza
levighi il tuo senso del tempo
*
e mentre lo dicevi cadevi nel vuoto
Bruno Galluccio è nato a Napoli dove tuttora vive. Laureato in fisica ha lavorato in un’azienda tecnologica occupandosi di telecomunicazioni e sistemi spaziali. Il suo primo libro di poesia è “Verticali” (Einaudi 2009), cui ha fatto seguito “La misura dello zero” (Einaudi 2015).
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