Nell’introduzione alla sua intensa traduzione delle poesie di Balàzs, scritte in lingua magiara dal poeta nato il Transilvania (oggi terra rumena) e vivente in Slovacchia, Laura Garavaglia rileva come la mescolanza di varie culture renda i versi dell’autore simile a un cocktail di inconfondibile aroma, riconducibile all’immaginario est europeo.
Paradossalmente, da una parte, questa molteplicità di influssi culturali fondanti confluisce in un acuto senso di solitudine (“Solo l’eco dei miei passi/ mi segue ostinatamente”, in Stile e Simmetria), dall’altra in una particolare libertà da pregiudizi etnico-razziali (“il bianco smagliante degli zingari” in Fine d’Inverno a Budapest).
La poesia di Attila F. Balàzs si definisce come un mondo altro (“in un mondo dopo l’orario di chiusura” in Sala d’Aspetto Europea). Un mondo dove la babele dei linguaggi rende la comunicazione difficile se non impossibile (“le parole si rincorrono/ come uccelli gioiosi/ comunicano qualcosa in lingua straniera” in Giornale sulla Panchina).
Il poeta raffigura il genere umano come caratterizzato dalla originaria tendenza all’inganno o al tradimento (“La sabbia scorre,/ sotto la sabbia/ sepolta per sempre/ una messinscena/ e un bacio di Giuda” in La Clessidra).
Il corpo viene percepito esteticamente valido (“Il corpo unico oggetto di bellezza” in Imbalsamato in Versi), corpo che scatena feroci appetiti e amori (“l’amore batte come un cuore enorme/ nel cuore della città” “Uomini che fissano avidi/ donne svestite…”). Ma l’amore presenta il pericolo della perdita di sé (“fammi avvicinare a me stesso/ assolvimi da questa felicità soffocante”).
La solitudine del poeta finisce per azzerare il significato dell’esistenza (“Gli alberi continuano a cantare/ ma non significa nulla” in L’Albero Canta).
Nella babele delle lingue, nella giungla dell’insensatezza dei rapporti tra gli uomini e con la stessa natura, il poeta si percepisce come un morto-vivente (“Il poeta è morto/molto prima della sua morte/ un destino scritto e pagato in anticipo” in Il Poeta è Morto). Ma sono sicuro che le parole di Balàzs, scritte in una lingua incomprensibile in terre latine, siano ben protette da i suoi versi, ora esportati anche nella bella Italia, versi che aprono le porte della “vita eterna”.
Tomaso Kemeny
Blue di Attila F. Balàzs traduzione dall’inglese di Laura Garavaglia I Quaderni del Bardo edizioni, 2020
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