Dare una definizione della poesia non è semplice e probabilmente prima di formularne una occorrerebbero decenni di letture, scambi e riflessioni. Eppure, sebbene si parta da questa difficoltà iniziale, parlare di poesia è necessario, e di questa necessità non vorrei convincere nessuno. Chi ama la poesia la frequenta e non ha bisogno di motivazioni aggiuntive. La respira come l’aria e la sente come carne. Mi piace pensare all’arte dei versi come a una terra abitata da un linguaggio altro, realmente alternativo, dove finanche l’indicibile prende forma. Questo non significa che la scrittura poetica debba necessariamente realizzare una rottura o prendere le distanze da qualcosa: elementi come la ricostituzione o il superamento di una forma espressiva vanno semplicemente annoverati tra le intenzioni e gli effetti scaturiti dalla potenza della parola. Il poeta non guarda solo avanti, il suo sguardo si rivolge a un indefinibile altrove. Si tratta di un vero e proprio legame che si instaura con ciò che si pone dall’altra parte, di stringere una forte relazione con la posterità. Se la nascita della storia si registra con l’avvento della scrittura, la poesia resta una forma elevata di comunicazione, forse la più alta. Allora perché la sua fruizione è così limitata e il poeta convive con questa problematicità? Parliamoci con chiarezza, la poesia non vende e non incontra il favore di numerosi lettori. Qualcuno sostiene che i poeti non comunicano davvero e sono per lo più autoreferenziali. Probabilmente in questa posizione si intravede qualcosa di veritiero, ma è anche indiscutibile che la poesia, in generale, non ama compiacere il lettore. La sincerità della finzione poetica si manifesta pienamente in questa caratteristica ed è importante che si preservi, altrimenti rinuncerebbe alla propria autenticità. Una parola dalle ambizioni culturali forti (consapevolmente oppure no), che si propone di attraversare i secoli, non può in nessun modo inseguire il lettore di oggi e nemmeno cercare il proprio valore in un prodotto di mercato. Una grande poesia pone il lettore dinanzi a un atto di libertà, ma al tempo stesso di grande responsabilità. La libertà risiede nell’interazione che ognuno di noi riesce a intrattenere, anche a distanza di anni, con un testo. La responsabilità sta nell’accettare (non necessariamente condividere) questa libertà interamente, accogliendo con tutto il proprio carico di incertezza una parola poetica capace di aprire voragini, di scavare e portare alla luce vissuti, immaginazioni e visioni. Questo atto rivelatore non è affatto indolore o necessariamente rassicurante. Quando si comincia a scavare nessuno può affermare con certezza cosa si riuscirà a trovare. La poesia non può dare risposte, al contrario pone questioni intercettando le contraddizioni insite nella natura umana.
L’interpretazione è pertanto un atto di coraggio in cui si tenta di intravedere un terreno comune tra la parola poetica e la percezione del lettore. Deprivare la poesia di un luogo nel quale poeti e lettori si incontrano e si scontrano, nel tentativo da parte dei primi di inseguire a tutti i costi i secondi, dunque ammettendo una forma di subalternità, equivale al venir meno di un dialogo tra mondi differenti in cui la parola incompleta oppure non colta, rappresenta un’occasione unica e irripetibile di porsi in relazione all’altro. A questa va aggiunta la parola mancante, sinonimo di quell’inesauribile sete di ricerca poetica, espressione genuina della vita. Ecco perché la poesia è un corpo vivo che non si esaurisce con la scrittura, ma continua la propria opera nel tempo grazie a una costante interazione col lettore, a patto che vi sia una reciprocità relazionale nel desiderio comune di abbracciarsi in un altrove.
Federico Preziosi
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