La poesia di Sara Rainoldi è aforistica. La sua poetica resta sospesa, in equilibrio tra una strenua fiducia nel potere della parola, con sicurezza ungarettiana, e una ingenua semplicità, che caratterizza i versi lampo delle generazioni social. E in entrambi i casi cerca di portarsi a casa solo gli aspetti positivi.
Chiariamo subito le idee: Sara non è Ungaretti, ma neppure un anonimo poeta che pubblica su tumblr. Sara, semplicemente, ancora non è. Sospesa in un limbo di scrittura in cui le parole giacciono appena dormienti, la sua poesia sembra chiedersi: “Chi sono io?”. Ma soprattutto: “Da quale parte devo lasciarmi cadere?”.
Si porta a casa gli aspetti positivi di entrambi i lati del burrone, dicevo: proviamo a osservarlo meglio, partendo dalle sue stesse parole. (Ndr. Le poesie che troverete all’interno dell’articolo, seguono l’ordine cronologico in cui sono state scritte, sarà dunque interessante provare a capire che tipo di evoluzione personale e creativa è a esse sottesa).
MARZO
Se cadessi
insieme a questa pioggia di Marzo
che confusa tra i nubifragi dei tuoi pianti
annega nell'asfalto
io ti rialzerei
consapevole di essere stato salvato
Marzo, sei versi, nessuno scheletro metrico, un’istantanea professione d’esistenza. Questo componimento ci dice già molto dell’io lirico che siede dietro al nome Sara Rainoldi, muovendone i fili della scrittura. Intanto è un io lirico che sogna di essere qualcosa che non è; la sua poesia sorge dunque da un’esigenza di fuggire da se stessi per trovarsi negli altri, così come dalla profonda necessità di dire a qualcuno quello che l’io stesso non sembra in grado di voler ascoltare o sentire.
Quanto di Ungaretti e quanto di Tumblr in questo componimento? Dovendo fare una stima sommaria, mi azzarderei a dire che in questo caso la giovane età della penna gioca qualche piccolo scherzo e pende più verso una poesia che risponde essenzialmente alle esigenze del sentire giovane e contemporaneo: immediatezza, semplicità, sincerità e un’immagine evocativa a fare da sfondo. Il lavoro creativo sembra infatti essere costruito maggiormente sul mostrare, piuttosto che sul dire; d’altra parte la scrittura creativa stessa ci insegna che la regola numero uno è “show, don’t tell” (mostra, non raccontare). La strada doveva tuttavia essere ancora percorsa fino in fondo e questa, come scoprirete andando avanti nella lettura, era solo la prima tappa del percorso evolutivo della poesia di Sara.
N.B. C’è qualcosa di estremamente curioso in questo componimento: giunto alla conclusione, il lettore si trova costretto a rileggere, per capire se il desiderio di essere salvato viva più entusiasticamente nell’autrice o nel destinatario. Alla fine, chi dei due rialza l’altro? Voluta o meno, l’ambiguità sollevata dalla costruzione sintattica del verso “io ti rialzerei/ consapevole di essere stato salvato” lascia qualcosa di non detto che aleggia nell’aria anche dopo che la brevissima esperienza di lettura si è conclusa, un sentore dolce amaro sulla punta della lingua, che forse, più del fondersi dell’io lirico con la pazza pioggia marzolina, illustra alla perfezione un rapporto di dipendenza e salvazione biunivoche che potrebbe –dico, potrebbe – realizzarsi e che invece resta mera ipotesi.
I.
Inciampo nell’immagine di novembre
non si arresta e resto spoglia
inerme e non paga
di questa interrotta trasfusione di vita.
C’è nella poesia di Sara un rifiuto della punteggiatura, percepita come argine che rallenta il flusso emotivo e che allo stesso tempo offre una possibilità di modellarlo ad arte. Non è una possibilità che Sara coglie o si concede, così la sua poesia risulta fluida, inarrestabile e proprio per questo priva di forma. Può essere un bene fino al momento in cui non rischia di diventare un male: ancora dobbiamo richiamarci a quell’aurea mediocritas tra lo spirito ungarettiano e quello tumbliariano su cui la poesia di Sara si tiene in equilibrio.
Ovvero, tra quella capacità di far sì che sia la singola parola a comunicare ed evocare un universo di significati celati dietro un simbolo e il vizio del lasciar parlare la parola senza guidarla nel modo corretto, col rischio poi di lasciarla diventare muta.
È autunno, in questa poesia, forse piove proprio come in Marzo, forse invece c’è quella brezza croccante che fa scricchiolare le foglie morte lungo i marciapiedi, in ogni caso l'esistenza della poesia di Sara – proprio come questa poesia sottolinea “inerme e non paga/di questa interrotta trasfusione di vita.” – continua a scorrere, ancora non se ne riesce a cogliere con precisione la direzione, l’equilibrio è quanto mai instabile e sembra indispensabile un’evoluzione che valorizzi la brevità del verso senza scadere nell’eccesso di esplicitezza o di ermetismo.
20/11/17
Dalla polvere ricompongo
le geometrie della vita
che come un fiore il sole
voglio sfiorare.
E forse doveva essere proprio quel novembre il punto di svolta, un momento di equilibrio che segna la fine del percorso, iniziato a sua volta in una stagione di pausa. Tanto la primavera che fa da sfondo a Marzo quanto l’autunno di questo componimento e di quello che lo precede sono notoriamente le due stagioni meno incisive e arroganti dell’anno, non si impongono, ma ricompongono ciò che la stagione precedente ha tolto o dato in misura eccessiva. L’equilibrio sembra qui essere stato scovato a partire da un riconoscimento di un difetto in atto e di una qualità in potenza: quella Sara che parla tramite questi versi è consapevole di quanto sia facile essere scontati quando si è facili in poesia, ma non vuole smettere di correre il rischio.
Il suo è un amore per la parola non pretenziosa, ma al contrario, timida, titubante, una parola equilibrista che cerca altrove la propria ragione d’essere.
Eppure è una semplicità, questa, capace di sorprendere e di evocare. Valorizzando quell’abilità di show don’t tell presente fin dal principio nella sua penna, Sara impara a giocare con le parole e con il lettore, sempre fedele a un rifiuto profondamente sentito della punteggiatura, non ponte ma barriera per questa poetessa. Nasce così il gioco di luce del sole che bagna un fiore, scomponendone i pigmenti in sfumature e forme indefinibili, così come le tanto amate "geometrie della vita” che non possono nascere dalla perfezione, da ciò che è composto, ma devono necessariamente prendere forma dalla polvere, dal singolo acaro.
1-4-2017
CERCATE LA BELLEZZA
Cercate la bellezza nelle strade con la pioggia,
nel rifiutare l'ombrello;
Cercate la bellezza nell'umanità,
nelle mani di una vita per i sogni;
Cercate la bellezza nei sorrisi stanchi,
nelle umili cene offerte dalla fatica di ogni giorno;
Cercate la bellezza nelle canzoni che riportano a casa,
nelle porte aperte in orari di chiusura;
Cercate la bellezza in una città di acquerello,
nel timido colore sfumato dall'acqua del Naviglio;
Cercate la bellezza nei passanti distratti,
nelle pagine stampate,
nel riparo dei portoni,
nella luce di questa sera.
Cercate la bellezza e lasciate che vi colori gli occhi,
che vi si cucia nel cuore,
che chieda di essere condivisa.
CASTELLI DI CARTA
Ti sporgi dal cornicione e trattieni il respiro
le macchine vanno veloci, il sole compie un giro.
Sei principessa nel monolocale delle tue certezze
assorta e dedita ma lontana da carezze.
Veloce corri schiva tra corsie di parole
che portandoti via quietano il tuo cuore.
La vertigine dagli occhi sale la scala,
chi sei in questo rumore è vuota la sala.
Cos'è il tempo che rigido scorre via
tu dietro finestrino in fondo alla via.
Che si possa intaccare il tuo regno privato
è la paura che lenta mina il tracciato.
Declini la vita per il tempo del dovere
il citofono suona ma tu resti a sedere.
Il filo si rompe e poi salta la rima,
la aspetti con ansia ma lei si ritira.
A cosa ambisci e a chi devi dimostrare
è essere perfetta l'istinto naturale.
Ma qual è la natura se non quella di stupire
è l'arte della luce non altro da capire.
Forse Sara non scrive durante l’inverno o l’estate, forse solamente foglie che cadono e alberi in fiore possono suscitare l’ispirazione di questa penna delicata e moderata, ma sicuramente, rispetto ai componimenti più brevi e sintetici osservati in precedenza, le due poesia qui sopra possono benissimo presentarsi come un netto contrasto.
Sono due poesie forti, elaborate, sono poesie che si mettono in mostra e che colgono talvolta impreparati, proprio come l’estate o l’inverno.
Cercate la bellezza è un instancabile invito a non arrendersi e a non accontentarsi di qualcosa che, per grazia o successo, già si possiede: non smettete di avere sete, di farvi consumare dal calore della vita, di cercare nuovi orizzonti. La bellezza c’è e non è neppure troppo nascosta, sta “nel rifiutare l'ombrello”, “nelle umili cene offerte dalla fatica di ogni giorno”, “nelle porte aperte in orari di chiusura”, “nel timido colore sfumato dall'acqua del Naviglio”. La bellezza sta anche in questa poesia che è davvero un traguardo per Sara: in queste parole si respira la meraviglia del saper guardare. Proprio perché tante volte la bellezza non ha bisogno di essere indagata o immaginata, ma solo accolta, con un gesto di suprema umiltà e al contempo di estrema superbia: il gesto dell’artista. Si tratta di quella capacità di abbassarsi per prelevare dal reale, dal quotidiano, da ciò che è vivo e vero e palpitante e avere la supponenza coraggiosa di trasformare ciò che è effimero in qualcosa di eterno. Come eterna e instancabile deve essere la ricerca di questa bellezza che sarà pure momentanea e incompresa, ma che d’altra parte sembra per brevi attimi dare un senso a tutto e scaldarci, come il sole di una calda giornata estiva.
Castelli di carta è l’inverno della poesia di Sara: un altro componimento forte e pieno di fiducia in se stesso. Come in Cercate la bellezza, sotteso a questi versi possiamo trovare uno sforzo di ricerca poetica che arricchisce l’atto creativo stesso: assonanze e allitterazioni addolciscono i suoni, versi più misurati riordinano le idee e chiudono il quadro in un’opera che davvero qui è opera d’arte. La punteggiatura, nelle tre poesie “aforistiche” riportate sopra aborrita come temibile muro di intollerabile separazione, viene qui accolta, anzi ricercata come ponte di unione tra pensieri e parole. Una poesia che è a un tempo manifesto di poetica e presentazione del sé autobiografico. Manifesto di poetica perché è forte la difesa di ciò che è semplice, quotidiano e naturale; confessione perché si tratta di una poesia specchio, in grado di mettere completamente a nudo la sua autrice, presentandocela meglio di quanto potrebbe fare qualsiasi fotografia o autobiografia. È una poesia che nel freddo calcolatore dell’inverno si scioglie, come quei fiocchi di neve, la cui perfezione sul palmo della nostra mano calda dura un attimo infinitesimale, per poi perdersi in una goccia d’acqua. Che poi è vita, che scorre.
Martina Toppi
NOTA BIOGRAFICA
Sara Rainoldi ha 21 anni, vive a Milano e frequenta il secondo anno di Lettere Moderne all’Università Statale. Appassionata negli studi, nella lettura e nella musica, coltiva con costanza l’arte della scrittura. Alcune delle sue poesie sono state selezionate da OTMA edizioni per l’Agenda poeti 2018 e 2019, altri articoli invece sono stati pubblicati su Il Sole 24 ore e su D-Repubblica, è da poco entrata a fare parte della redazione del sito online Mentisommerse.
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