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Andrea Tavernati

Matera e una donna


Matera e una donna, Maffia

Ci sono rari, eccezionali stati dell’essere, nei quali la biografia interiore pare aderire perfettamente alla realtà esterna, che è ragione e scenario al tempo stesso di tale percepirsi. E in tale percezione l’io riesce a identificarsi compiuto e pacificato, nella sua pur tumultuosa complessità. “Realizzato”, come si dice comunemente: nessuno iato, nessuna sfasatura fra io e mondo. Una coincidenza che sfocia in una naturale espressività, tanto più apparentemente “facile”, quanto più il canto avviene come fatto, suggello e parte integrante di un dato esperienziale. Di cui va a chiudere il cerchio, trasfigurandolo.

È quanto accade anche in Matera e una donna di Dante Maffia, corposa raccolta poetica che del canzoniere ha tutte le caratteristiche, in un solco plurisecolare che va da Petrarca a Saba. A partire dalla cesura temporale fra il prima e il dopo della vita, laddove l’esperienza amorosa fissa lo spartiacque della diversità. Segnata da epifania e rivelazione, stupore per l’opportunità di accedere ad un livello di vibrazione quantistica dell’esistenza che non si poteva immaginare. Di fronte all’accadimento, alla spontaneità, quanto di dubitabile e mitizzato e letterario ci possa essere nel racconto amoroso, decade immediatamente (“...perciò niente letteratura,/ tu sei la vita. “ Dice il poeta in Sai chi sei veramente?). E anche niente di metafisico, in tale laica metamorfosi, senza che per questo risulti meno evidente l’accesso ad una Vita Nova, che si lascia alle spalle ogni incertezza e negatività ( “Era così chiusa la porta del cielo / e così chiuso il tempo dell’avvenire....Ma ci sono le svolte e i cambi di stagione...” recita Ma ci sono le svolte) in un clima quasi di incredulità, che fa percepire il mondo intero con occhi nuovi: “Mi sorprende ogni cosa” è il titolo di un’altra poesia.

Se non che in Matera e una donna non si parla tanto di un esclusivo rapporto di coppia, quanto di un triangolo – verrebbe da dire addirittura un quartetto, data l’insistenza della presenza testimoniale della luna, che diffonde la sua intima tonalità luminosa in tanta parte del libro- il cui terzo polo è rappresentato dalla città, che non solo fa da sfondo alla vicenda amorosa ma ne è co-protagonista, già a partire dal titolo. L’attrazione che Matera esercita sul poeta –lui, che a Matera non è nato- è talmente forte che tutto il volume è visivamente ritmato dalle bellissime fotografie in bianco e nero di Elio Scarciglia, dedicate a scorci, dettagli, improvvise visioni della città dei Sassi. Una personalità forte e distintiva, che spesso si sovrappone e quasi si confonde con quello della donna amata, generando quell’identificazione tra oggetto del desiderio, ambiente e percezioni dei sensi (“Ti guardo e vedo che Matera sei tu/...sfavillante di favole...”) che è uno dei tratti più qualificanti di queste poesie. Ma che apre anche il racconto interiore alla vicenda della città, al suo carico di memorie, di storia, di dolore e di dimenticanza, fino al recente riconoscimento della sua eccezionale identità e quindi ad una rinascita costruita più dall’interno della sua stessa anima, che sulle testimonianze di artisti e intellettuali ( “I portoni non hanno dimenticano niente,/...Matera viveva nell’ombra, muta, / aspettava che i Sassi potessero

parlare.// Non bastarono Pasolini e Gibson a prestare attenzione,/ se non sentiva amore Matera sarebbe rimasta a navigare nella forma vasta / dell’attesa...” da: “Un quadro d’autore”). Rinascita che rispecchia la mutazione profonda del poeta, a sua volta rigenerato nella nuova condizione esistenziale (“...abbiamo altro lievito,/ altro suono,/ e tanti sassi di Matera / e del mare di Roseto/ appesi al collo, legati ai piedi.”) fino a riconoscere nello stato del presente la condizione indispensabile e l’essenza stessa della poesia, che non potrebbe esistere esulando da una realtà che la alimenta come una dimensione ulteriore e superiore di consapevolezza. Ciò appare benissimo in testi come Il senso della poesia (“Ma/ dopo il terremoto/ il tuo cuore/ è la mia tana,// e la tua bocca/ il senso della poesia/ che mi rincorre/ per le valli della Lucania.”) o Le parole rispecchiano le cose, non a caso una delle ultime del libro e quasi una dichiarazione di poetica, con quel “rinominare il mondo fuori delle abitudini” che è una ri-creazione della realtà attraverso la poesia ispirata da Matera e dalla donna.

Punto fermo del biografico che si fa punto fermo del tempo e punto di vista privilegiato dal quale guardare il passato e il resto del mondo. La vicenda personale non appare mai come un fragile ed eccezionale mondo incantato, ma un crogiuolo nel quale convergono tutte le esperienze della città, il mondo contadino, la suddivisione in caste, la povertà e lo splendore della bellezza. Così come i riferimenti letterari e le citazioni (Borges, Renoir, Levi, Yeats, Saba e tanti altri...) che scivolano con nonchalance in un dettato volutamente ancorato ad una cifra piana fino alla discorsività più prosastica, per poi accendersi, quando si torna a parlare d’amore, di una luce totalizzante, che non risparmia nessuna gradazione del fare poetico fino ad un vero e proprio bellissimo inno, degno di Pablo Neruda, quale Poi l’amore (“..e che l’amore/ vive nel poi,/ nel deserto di nubi avare/, nella densità del non detto,/ e del troppo detto,/ e che ha troppe mani, troppi occhi,/ troppe anime,/...”). Anche se il poeta sa che “bisogna fare i conti con ciò che non ho amato” e “le mani del vento...insistono per frugare nella mia anima”: c’è un inevitabile senso di provvisorietà, di assedio, di lotta inesausta per difendere la magia dalla banalità, dalla tristezza, dal tempo e, in ultima analisi, dal “tintinnare zoppo della falce”. Matera stessa è un miracolo sottratto all’erosione delle pietre, al dilavare delle acque, all’incuria degli uomini: la nostra contraddizione risiede nella capacità di creare meraviglie e poi avere l’imbecillità di dimenticarcene. E allora non è anche questa la funzione della poesia? Testimoniare che Matera c’è, esiste. E che l’Amore è possibile, grazie a qualcosa che è dentro di noi e a dispetto di tutti i nostri limiti.

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