La missione della poesia, la parola è un termine improprio perché non ha una missione, è come un bambino che vive, ride, canta, diciamo piuttosto che il suo effetto è molteplice.
Questo è quello che io chiamo i paradossi della poesia
1) Come abbiamo visto, non cessa di velare il significato prosaico, il significato realistico della vita con immagini e metafore ma è per rivelarne meglio il significato nascosto, il significato più profondo, l'altro lato della realtà, che è la vera realtà.
So che non tutti i poeti saranno d'accordo con questo e oggi appare sempre più poesia che è puro realismo, "terra-terra", senza trascendenza. Solo il futuro ci dirà se questa poesia rimarrà. Ho sentito un poeta criticare pesantemente la metafora. Ma la metafora ci permette di raggiungere il reale dietro il reale, il surreale o l'invisibile.
2) Più diciamo di noi stessi, più ci immergiamo nel nostro essere, e più raggiungiamo l'universale. Vorrei citare qui Jung: "...il poeta ha toccato una profondità dell'anima, salutare e redentrice... una profondità dove tutti gli esseri vibrano con la stessa vibrazione e dove, di conseguenza, le percezioni e le azioni dell'individuo partecipano all'intera umanità". (p. 258)
Questo è ciò che volevo esprimere in questa poesia:
"Parlare il più vicino possibile alla carne
parola rasoio
che taglia
e scolpisce
Non è la grana della tua pelle
diversa da un’ altra grana di pelle
Più vicino
Non è il tuo sangue
di un gruppo diverso
Ancora più vicino
Così vicino
che sono le molecole
no! gli atomi
tutti simili
che voglio afferrare
ione, fratello mio".
3) La poesia non è una terapia, eppure opera una catarsi (purificazione), come dicevano i greci del teatro, cioè ci permette di piangere, di capire alcuni nostri comportamenti, di andare avanti nella vita spirituale. Mette lo scrittore o il lettore in contatto con il suo io più profondo e più vero. È uno strumento di conoscenza.
La poesia rimane la spia della nostra anima, quella che sa senza sapere, che trasmette senza conoscere i pro e i contro. A volte ci vogliono mesi, anche anni, per capire certe poesie, anche se sono scritte da noi stessi. Nel 1994 scrissi una lunga poesia sulle inondazioni catastrofiche nel mio paese e si è trasformata in una visione di tubi, di pompe come per una persona in ospedale. (La sans visage p. 45) E curiosamente, nove mesi dopo (nove mesi, il tempo di una gestazione!) mi ritrovai in ospedale con tubi ovunque in seguito a un'operazione. Come se il corpo, l'inconscio sapesse, prima di raggiungere la coscienza.
Quindi il linguaggio ci è sempre estraneo quando si rivela nell'irruzione della vita quotidiana. Quello che pensavamo di aver sempre saputo diventa improvvisamente una rivelazione. Quello che la gente dice dall'alba dei tempi, senza nemmeno sapere cosa sta dicendo, diventa improvvisamente chiaro e accecante. Un giorno un'amica, che aveva appena avuto una grande delusione, era caduta dalle scale e mi disse: "Sono caduta dall’alto". E io le dissi: "Sei caduta dall’alto" con il significato metaforico di questa espressione.
O quell'espressione che ci dicevamo quando eravamo bambini "chi lo dice sa di esserlo". Profonda verità psicologica che ho capito solo molto più tardi. Ciò di cui incolpiamo l'altro è ciò che noi stessi facciamo.
4) Scrivere è morire, ma per vivere. Per raggiungere lo stato poetico dobbiamo allontanarci dalla realtà, dai nostri sentimenti, dalle nostre emozioni, dall'aneddoto. Altrimenti la poesia non può toccare gli altri. Una volta ho ricevuto da un giovane che voleva essere un poeta le lettere che aveva scritto all'oggetto della suo amore. Ed era così dichiarata, così impudica che era imbarazzante, intollerabile e in ogni caso non era letteratura. Quindi dobbiamo morire alle nostre emozioni, a noi stessi, ma per vivere di nuovo, per cercare l'altro in noi stessi, per poter condividere con l'altro, il lettore. Così il lettore potrà trovare nella poesia se stesso e l'altro, cioè qualcosa di sé e qualcosa di estraneo che lo nutrirà.
L'autore
se non è assente
da se stesso
non può essere un mediatore
media-autore
perché la sua metà
sei tu, il lettore.
5) La poesia è inutile e tuttavia è indispensabile. È un'inutilità indispensabile. Un poeta del ventesimo secolo, René-Guy Cadou, disse: "La poesia è inutile come la pioggia". E a volte abbiamo tanta sete di pioggia.
La poesia è messa in disparte, soprattutto in Francia. Ho potuto constatarlo di persona quando Barack Obama ha prestato giuramento. C'erano intermezzi culturali, prima una cantante, che abbiamo ascoltato e il commento in televisione o sul giornale dava anche il titolo e vagamente il significato della canzone. Poi c'era un quartetto che suonava, non c'era bisogno di traduzione. Infine una "poetessa" è stata chiamata al microfono. Beh, non abbiamo quasi visto la sua faccia e mentre recitava la sua poesia i commentatori francesi hanno cominciato a riprodurre immagini già viste e a parlare di qualcosa di diverso dalla poesia.
Mai prima d'ora ci sono stati così tanti appelli alla libertà, così tanto deplorato la violenza, così tanti rimproveri a Dio per il male che si sta diffondendo sulla terra. Eppure non si è mai negato così tanto il posto alla poesia, che, anche se non è la prima, perché anche altre arti e altre pratiche hanno la loro voce, occupa un posto importante nel concerto, ed è una voce indispensabile per far sentire la coscienza più alta dell'uomo. E come non citare qui René Char: "La poesia osa dire con modestia ciò che nessun'altra voce osa confidare al maledetto Tempo. Porta anche aiuto all'istinto nella perdizione". Ebbene, l'istinto è attualmente in perdizione, per mancanza di una vera parola, e non si fa nulla per salvarlo. E più viviamo in un'epoca di tecnologia, lontani dalla natura e virtuale, più avremo bisogno di ritrovare l'uomo primitivo, altrimenti ci divorerà. Ed è la parola poetica e l'arte che possono rimetterci in contatto con il nostro io più profondo. È un fuoco, un tizzone di fuoco che deve essere protetto e propagato. È un atto di resistenza a questa società del denaro onnipotente, del consumismo, della superficialità e del luccichio. La poesia ci fa scavare dentro noi stessi per scoprire il nostro vero valore. Di fronte alla macchina politica, economica e finanziaria, ci sentiamo piccoli, incapaci e impotenti. Il nostro unico modo di resistere è la vita interiore: l'arte, la poesia e, per i credenti, la preghiera.
Conclusione "La poesia non è altro che quel violento bisogno di affermare il proprio essere che anima l'uomo". Aldo Pellegrini, poeta argentino citato da Roberto Juarroz in Poésie et Réalité (edizione Lettres Vives).
L'altro giorno qualcuno mi ha detto: "Stai ancora scrivendo? Passa il tempo". Ho risposto: "No, non passa il tempo". Ma ha capito? Molti non sentono che questa parte della vita è necessaria, e non è un passatempo per una signora oziosa ma una necessità interiore, una ricerca e un progresso spirituale.
Continuo con la citazione di Aldo Pellegrini: "Si oppone alla volontà di non essere, che guida le folle addomesticate, e alla volontà di essere da altri, che si manifesta in coloro che esercitano il potere." Per questo è sia un risveglio delle "folle addomesticate" che una messa in discussione di "coloro che esercitano il potere".
È quindi uno spazio di libertà, in relazione a se stessi e in relazione alle forze di coercizione che vogliono esercitarsi su di noi. Il lavoro del linguaggio ne è un segno visibile. Prendendosi delle libertà con il linguaggio, afferma la nostra libertà di pensiero, la nostra autonomia rispetto alle regole stabilite. Non per correre come puledri non addestrati, ma come destrieri che galoppano verso la meta.
Nicole Laurent-Catrice
Traduzione di Valeria Citterio – Revisione di Laura Garavaglia
Photo by Pawel Czerwinski on Unsplash
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