Gili Haimovich è una poetessa e traduttrice israeliana bilingue con un background canadese. È autrice di nove libri di poesia, tre in inglese e sei in ebraico, oltre a un libro multilingue della sua poesia Note. I suoi libri più recenti sono il volume Promised Lands (2020) e la raccolta Lullaby (2021). Ha vinto i concorsi internazionali di poesia italiana I colori dell'anima come miglior poeta straniero (2020), il concorso internazionale italiano Ossi di Seppia (2019) e una borsa di studio per l'eccellenza del Ministero della Cultura di Israele (2015) tra gli altri premi. Le sue poesie sono tradotte in 30 lingue, comprese traduzioni di libri in serbo e francese. Il suo lavoro è presente in tutto il mondo in antologie, festival e riviste come: World Literature Today, Poetry International, International Poetry Review, The Literary Review of Canada, 101Jewish Poems for the Third Millennium, Tok - Writing the New Toronto e New Voices - Contemporary Writers Confronting the Holocaust così come importanti pubblicazioni in Israele come The Most Beautiful Poems in Hebrew - A Hundred Years of Israeli Poetry, A Naked Queen - An Anthology of Israeli Social Protest Poetry.
Purgatorio
Canto IX, 64-72
A guisa d’uom che ‘n dubbio si raccerta
e che muta in conforto sua paura,
poi che la verità li è discoperta, 66
mi cambia’ io; e come sanza cura
vide me ‘l duca mio, su per lo balzo
si mosse, e io di rietro inver’ l’altura. 69
Lettor, tu vedi ben com’io innalzo
la mia matera, e però con più arte
non ti maravigliar s’io la rincalzo.
Commento di Gili Haimovich al 700° anniversario per la morte di Dante Alighieri
In un certo senso, Dante dimostra il suo enorme, incomparabile e duraturo contributo al mondo non essendo letto ormai letto molto e tuttavia essendo estremamente noto a livello globale per la sua straordinaria Divina Commedia negli ultimi 700 anni. Ed è anche in ambienti molto più lontani da quelli del poeta. Splendente come un'eterna Rockstar della poesia, Dante e la sua Divina Commedia sono diventati una parola, universale, che trascende il poeta e la sua monumentale creazione per la vita nell'eternità. Sembra che chiunque, da qualsiasi nazione, possa dire di sapere qualcosa a riguardo. Come poeta israeliana, ho avuto i miei incontri con la scrittura di Dante attraverso diverse intersezioni dei miei percorsi poetici e questo senza essere un esperta di Dante o della Divina Commedia. Anche solo un paio di anni fa, avevo riletto Dante per scrivere una poesia in ebraico che fa riferimento al suo Inferno. Nella poesia mi sono posta come figura un poeta-profeta che attraversa l'Inferno. È stato una esperienza significativa fare riferimento a questo testo davvero divino e sentire in me una risonanza, io che sono una poeta contemporanea che scrive in ebraico.
Penso che Dante sia ormai parte del nostro inconscio collettivo. Nella Divina Commedia c’è l'archetipo del poeta come una sorta di profeta, che attraversa gli abissi dell'inferno e la sommità del cielo, testimonia le debolezze umane e le brame mondane per portarle nella vita usando le parole con maestria. Ciò va d’accordo con la tenera capacità dei poeti di testimoniare l'orrore e la grazia, di non rompere e ancora non perdere la sensibilità in modo che lui o lei possano trovare il modo di esprimerlo.
Questo duplice aspetto delle qualità del poeta di essere tenero, forse anche fragile da una parte, e dall’altra essere abbastanza forte da contenere la sofferenza umana e raccontarla, è anche un'immagine che la maggior parte di noi condivide grazie al contributo di Dante al nostro comune arsenale di immagini. Trovo che Dante simboleggi il richiamo costante all'importanza della poesia, di come raggiunga luoghi dove nient’altro può arrivare, di come la tua sensibilità, anche fragilità, può trasformarsi in forza quando hai la poesia che ti accompagna attraverso le “porte” del disagio. Questa è una lezione che viene trasmessa di generazione in generazione e che continua ad essere rilevante e quindi appresa e reimparata continuamente.
Tornare a Dante in questi giorni mi colpisce con una nuova e sorprendente coincidenza, la pandemia COVID-19. Si parte dall'inizio con il primo incontro di Dante con il poeta Virgilio, che gli dice di essere lombardo. Questo fa subito venire in mente una delle zone del Nord Italia che ha più risentito della pandemia. Dice a Dante di essere solo un’ombra di se stesso, il dolore aveva cambiato la sua forma di essere umano. C'è anche qualcosa nel modo in cui Dante ha creato la struttura del poema con il passaggio da una porta dell'Inferno a un'altra, rivelando diversi aspetti dell'orrore, che rimandano a questa analogia. Trovo che il quinto canto, dove la porta dell’ira viene attraversata con l'indifferenza, mi colpisce particolarmente in questi giorni. In quanto israeliana, di cultura ebraica, laica, mi sento legata all'uso intertestuale dell'Ole Testimony da parte di Dante, traendo profondità e ispirazione da queste figure e storie complesse e mitologiche. Certo, per lui, e nella sua epoca, hanno una valenza religiosa che non condivido ma con cui ho familiarità. Tuttavia, forse è per questo, forse anche di più, sono consapevole delle qualità letterarie della Bibbia in quanto testo scritto. Essendo l’ebraico la mia lingua madre , ho letto questi testi nella loro lingua originale. Io stessa faccio riferimento in parte ad essi nei miei scritti. Inoltre, come nativa ebrea ho la sensazione che l'opera di Dante abbia generalmente un suono particolare, e quindi di successo, nella sua traduzione in ebraico insieme al bagaglio culturale che la lingua porta con sé. Naturalmente, ci sono diverse traduzioni della Divina Commedia in ebraico, sei per quanto ne so. E non c'è da stupirsi che una delle prime, del 1920, sia stata realizzata da un poeta, Ze'ev Jabotinsky, che anche, un po 'come Dante stesso, era un leader politico e un oratore.
A mio parere, solo una lingua antica come l'ebraico, che si crede sia stata parlata anche da Gesù, ad esempio, sembra in grado di riconoscere qualcosa del registro linguistico di Dante. Ormai sappiamo che Dante aveva guadagnato la vita eterna. Si spera che la trascorra in una delle alte sfere del Paradiso che aveva descritto nella sua Divina Commedia. Nessuno di noi, poeti moderni, avrà una tale portata nella sensibilizzazione dell’opinione pubblica. Tuttavia, per me, trovo confortante leggere la sua Commedia in questi periodi e ricordarsi dell'intima compagnia che la poesia sempre, (e questo caso dimostra che è davvero sempre), fa in tempi inaspettati e ancora difficili. Quindi, oggi, Maestro Alighieri, alzo per te un metaforico bicchiere di uno squisito vino italiano, augurandoti un felice anniversario ovunque tu sia. Salute, Maestro, o come si dice in ebraico, "lechaim", che letteralmente significa "per la vita". Che tu possa vivere tra le nostre pagine per molti e molti altri decenni a venire.
Gili Haimovich is a bilingual Israeli poet and translator with a Canadian background. She is the author of nine poetry books, three in English and six in Hebrew as well as a multilingual book of her poem Note. Her most recent books are her volume Promised Lands (2020) and the collection Lullaby (2021). She won the international Italian poetry competitions I colori dell'anima for best foreign poet (2020), the Ossi di Seppia international Italian competition (2019) and a grant for excellency by the Ministry of Culture of Israel (2015) among other prizes. Her poems are translated into 30 languages, including book length translations in Serbian and French. Her work is featured worldwide in anthologies, festivals and journals such as: World Literature Today, Poetry International, International Poetry Review, The Literary Review of Canada, 101Jewish Poems for the Third Millennium, Tok – Writing the New Toronto and New Voices - Contemporary Writers Confronting the Holocaust as well as major publications in Israel such as The Most Beautiful Poems in Hebrew – A Hundred Years of Israeli Poetry, A Naked Queen – An Anthology of Israeli Social Protest Poetry.
Gili’s tercets in Hebrew, from the 9th canto of the Purgatory, The Divine Comedy by Dante.
Lines 64 – 72:
"כְּאִישׁ אֶת לְבָטָיו מַשְׁלִיךְ וּבִטְחוֹנוֹ
חוֹזֵר אֵלָיו וְהוּא בּוֹטֵחַ בְּעַצְמוֹ,
כֵּיוָן שֶׁהָאֱמֶת נוֹדְעָה וְנִגְלְתָה לוֹ,
כָּךְ חַשְׁתִּי אָנֹכִי וּלְעֵת מוֹרִי רָאַנִי
פָּטוּר מִדְּאָגָה, צָעַד בִּשְׁבִיל הָאֶבֶן
וְאָנֹכִי אַחֲרָיו בְּמַסָּעֵנוּ מַעְלָה.
רָאִיתָ, הַקּוֹרֵא, כֵּיצַד אֲנִי מֵיטִיב
עִם הַשִּׁירָה, כֵּיוָן שֶׁכָּךְ אַל תִּשְׁתָּאֶה אִם
עַל אָמָּנוּת פִּיּוּט אוֹסִיף וְגַם אַשְׁבִּיחַ."
“Like one, whose doubts
Are chas'd by certainty, and terror turn'd
To comfort on discovery of the truth,
Such was the change in me: and as my guide
Beheld me fearless, up along the cliff
He mov'd, and I behind him, towards the height.
Reader! thou markest how my theme doth rise,
Nor wonder therefore, if more artfully
I prop the structure!”
Gili Haimovich’s comment for the 700th anniversary of Dante Alighieri's death:
In a way, Dante proves his enormous, incomparable, and lasting contribution to the world by not really being read much any longer and yet consisting hugely well-known globally for his outstanding Divine Comedy in the last 700 years. And is even in circles that are much further away than poet’s ones. Shining like an everlasting Rockstar of poetry, Dante and his Divine Comedy became a term, a universal one, that transcends the poet and his monumental creation to life in eternity. It seems that almost anyone from any nation can indicate knowing something about it. As an Israeli poet, I have had my own encounters with Dante’s imprints through different intersections of my poetic paths, and that's without being any expert on Dante or the The Divine Comedy. Even just a couple of years ago, I had turned to Dante's work for writing a Hebrew poem that references his Inferno. In the poem, I placed myself as a figure of a poet-prophet that passes through the Inferno. It was a pleasure to turn to this indeed divine writing and see how it resonates with me, a contemporary Hebrew writing poet.
I think Dante had become part of our collective unconscious. He placed there the archetype of the poet as some kind of prophet, that goes through the lows of hell and highs of heaven, witness human’s weaknesses and worldly cravings in order to bring them to life through a mastery use of words. It goes along with the poets’ tender ability to hold witness to horror and grace, not to break and yet not to lose sensitivity so he or she can find ways to express it. This dual perspective on the poet’s qualities of being tender, perhaps even fragile in one way, and yet being strong enough to contain human suffering and tell them, is also an image most of us share thanks to Dante’s contribution to our joint arsenal of images. I find Dante symbolizes the constant reminder for the importance of poetry, of how it goes to places nothing else can, of how your sensitivity, even fragility, can transform into strength when you have poetry to accompany you through the “gates” of hardship. This is a lesson that is being carried through generations, and one that continues to be relevant and therefore learned and re-learned over and over again.
Going back to Dante these days hits me with new and striking equivalence, the COVID-19 pandemic. It starts right from the beginning with Dante’s first encounter with the poet Virgilio, who tells him he is from Lombardi. What immediately brings to mind one of the areas in Northern Italy who suffered the most from the pandemic. He tells Dante this is only a shadow of his, suffering had shed his human being form away. There’s even something in how Dante structured the poems with the transitions from one gate of the Inferno to another, revealing different aspects of horror, that build up this analogy. I find the fifth Canto, that goes through the gate of wrath together with indifference to particularly hit a chord for me these days.
As an Israeli, culturally Jewish not religiously, I feel affiliation to Dante's intertextual use of the Ole Testimony, drawing depths and inspiration from these complex and mythological figures and stories. Of course, for him, and in his era, they carry religious importance I don’t share but am familiar with. However, maybe that’s why, maybe even more so, I’m aware of the literary qualities of the bible as a written text. Having the resources of Hebrew as my mother tongue, I read these texts in their original language. I myself refer to some of it in my own writing. Furthermore, as a Hebrew native I have the feeling that Dante’s work generally has a particular ring, and therefore success, in its translation into Hebrew together with the ancient cargo that the language brings with it. Of course, there are several translations of The Divine Comedy into Hebrew, six as much as I know. And no wonder one of the earlier ones, from 1920, was made by a poet, Ze'ev Jabotinsky, who also, a bit like Dante himself, was a political leader and an orator. To my feeling, only a language that is ancient as Hebrew, that is believed to be spoken by Jesus as well for instance, seems able to achoo something of Dante’s register.
By now we know Dante had gained eternal life. Hopefully, he spends it on one of the high spheres of the Paradise he had described in his Divine Comedy. None of us, modern poets, are going to acquire such space in the public's awareness. However, for me, I find it is comforting to read his Comedy during these times and be reminded of the intimate companion poetry always, (and this case proves its indeed always), brings during unexpectedly and still difficult times.
So, I raise a metaphorical glass of an exquisite Italian wine for you today, Maestro Alighieri, wishing you a happy anniversary wherever you are. Cheers, Maestro, or as we say in Hebrew, “lechaim”, which literally means “for life”. May you live between our pages for many many more decades to come.
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