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La casa della poesia

Che cos’è la poesia?



Mi si chiede di spiegare cos’è per me la poesia. Mi si chiede di farlo non come critico ma come poeta, come autore che sente il bisogno di esprimersi in versi e di usare tutti gli strumenti retorici legati a quest’arte. Mi si chiede di farlo in parole semplici e chiare, perché tutti posano comprenderne a fondo il significato. Ed io, che non amo lo stile complesso, che non amo il poetichese accolgo volentieri quest’invito e ci provo, ci provo a dirvi con parole mie, cos’è per me la poesia, soprattutto, dal momento che in questo periodo, lo stare necessariamente confinati in casa suscita ripensamenti anche sulla propria modalità di comunicare col mondo che per me è, principalmente, proprio la poesia. Proverò quindi a spiegare con tre parole la mia dimensione di poesia. La prima parola che mi viene in mente è incontro che potrebbe tradursi anche in esperienza. Ognuno di noi vive la sua vita come un incontro continuo con gli altri, da questi incontri nascono esperienze che ci segnano, che rimangono dentro. Il poeta riesce a trasformare queste esperienze in poesia rendendole da personali a universali. Quando Montale scrive: ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale/ed ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino noi sentiamo perfettamente quel sentimento, vediamo nitida quell’immagine e la facciamo nostra perché è un’esperienza che ci appartiene. In quel momento avviene un ulteriore incontro, quello tra il poeta e il suo lettore, creandosi una relazione narrante ed empatica che difficilmente verrà dimenticata.

La seconda parola che mi sentirei di usare è incantamento che potrebbe essere tradotta in stupore. Sì, perché è solo guardando il mondo con l’immutato stupore del bambino che se ne possono cogliere le sue sfumature, se ne possono percepire i movimenti, se ne possono far nascere le emozioni, trasformarle in sentimenti. Non sembri strano parlare ancora oggi di un certo Pascoli che mitizzava il fanciullino che è dentro di noi, sostenendo che solo filtrando lo sguardo attraverso quello del bambino si poteva essere davvero poeti, trasformando il fantastico, l’immaginifico in reale. Quando Dante, nel famoso sonetto dice: Guido, i’ vorrei che tu e Lapo ed io/fossimo presi per incantamento ci descrive un momento quasi magico, dove egli vorrebbe poter realizzare il desiderio di essere traportati su un vascello per conoscere l’amore, contemplando le donne amate. Ebbene anche l’incantamento, lo stupore con cui riusciamo a vedere e quindi a esprimere il reale, in pratica ce lo rende noto, ce lo avvicina, ci fa capire come sia possibile che le cose in qualche modo accadano.

La terza parola che userò è ricamo. In questi giorni sto leggendo un libro di Tracy Chevalier, già autrice del più famoso, La ragazza con l’orecchino di perla, dal titolo La ricamatrice di Winchester che parla di una ragazza che scopre, attraverso l’arte del ricamo, l’arte di aspettare, di avere pazienza, e di creare qualcosa che resterà nel tempo.

Ebbene, anche la poesia può essere definita l’arte di tessere, di ricamare attraverso la parola situazioni e sentimenti che resteranno nel tempo. Mai come adesso abbiamo bisogno di ricamare il nostro tempo per costruire memoria e lasciarla in eredità ai nostri lettori futuri.

Infine, voglio lasciarvi con un’ultima considerazione. Si parla tanto di calo imponderabile di lettori di testi poetici. In realtà, la poesia non solo può ma deve rispondere ai bisogni dell’Uomo. Le trasformazioni che interessano la società non sono certo direttamente proporzionali al calo di interesse per la lettura della poesia, o almeno io non lo credo. La lingua di questo genere, così come avviene in ogni ambito dove la parola ha un significato, è capace di evolversi, di modificarsi, di adeguarsi ai cambiamenti pur perpetuando quello scavo interiore che il poeta stesso continua ininterrottamente a fare su di sé, come il minatore di “caproniana” memoria. La stessa cosa avviene per i contenuti. L’amore oggi è cantato nelle sue facce più inquiete e poco rassicuranti: della donna si parla in termini di femminicidio; della società si raccontano le evoluzioni e le involuzioni; il mare ad esempio è una finestra sul mondo e il luogo delle tragedie e dell’accoglienza. Ma, i poeti continuano a specchiarsi nei loro maestri, a ritrovare quelle finestre di dialogo che si sono aperte leggendo i versi preferiti, e da questo a trarre ispirazione per i propri: si rinnovano i linguaggi, si aggiorna il sentire ma le vicende dell’uomo sono le stesse da millenni. E i lettori, anch’essi sono sempre gli stessi di allora: pretendono di ritrovarsi in quelle letture, pretendono che quelle letture lascino un segno tangibile di quel passaggio dentro di loro, hanno voglia di un contatto empatico che gli racconti la realtà nei suoi interstizi più profondi, senza finzioni.

Potremmo concludere dicendo che scrivere poesia oggi è quello che più serve per restare umani, per cantare il proprio tempo, esserne testimoni e profeti, per lasciare un segno che rimanga parlando di noi.

Cinzia Demi


 

Breve nota biografica:

Cinzia Demi (Piombino – LI), lavora e vive a Bologna, dove ha conseguito la Laurea Magistrale in Italianistica. È operatrice culturale, poeta, scrittrice e saggista. Dirige con Giancarlo Pontiggia la collana di poesia under 40 Cleide per le Edizioni Minerva (Bologna). Cura per Altritaliani la rubrica “Missione poesia”. Tra le pubblicazioni: Incontriamoci all’Inferno. Parodia di fatti e personaggi della Divina Commedia di Dante Alighieri (Pendragon, 2007); Il tratto che ci unisce (Prova d’Autore, 2009); Incontri e Incantamenti (Raffaelli, 2012); Ero Maddalena e Maria e Gabriele. L’accoglienza delle madri (Puntoacapo , 2013 e 2015); Nel nome del mare (Carteggi Letterari, 2017). Ha curato diverse antologie, tra cui “Ritratti di Poeta” con oltre ottanta articoli di saggistica sulla poesia contemporanea (Puntooacapo, 2019). Suoi testi sono stati tradotti in inglese, rumeno, ungherese e francese ed è lei stessa traduttrice per testi nelle lingue neolatine: è appena stato pubblicato L’eco, solo lei di Ion Deaconescu, in traduzione italiana dal romeno per Puntoacapo. È caporedattrice della Rivista Trimestale Menabò (Terra d’Ulivi). Tra gli artisti con cui ha lavorato: Raoul Grassilli, Ivano Marescotti, Diego Bragonzi Bignami, Daniele Marchesini. Tra gli eventi culturali: “Un thè con la poesia”, ciclo di incontri con autori di poesia contemporanea, presso il Grand Hotel Majestic di Bologna, e il Festival “Populonia in Arte”.


Photo by Rodion Kutsaev on Unsplash

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2 comentários


assennatogaia
06 de mar. de 2021

Immensamente Grazie, Cinzia.

Chiara, esaustiva ed hai puntato dritto dritto al risveglio del mio pigro gradimento per la lettura, che ha goduto del piacere di ogni singola parafrasi da te composta. Complimenti.

Ringrazio la tua, non così usuale, capacità di farti comprendere e parlare di argomentazioni nuove.

Sono tentata, ma stavolta mi lascerò distrarre dal piacere della condivisione e ti lascio un mio brevissimo composto, e tentativo di piacermi e divertirmi, nell'attesa di un autobus, di sera, dopo uno stimolante corso di fotografia.

Buona lettura e buona continuazione.


Vani tentativi


Ho scoperto che giocando s'impara.

Ho scoperto che sbagliando si cade.


Ho anche scoperto che imparando,

cadere è un gioco.


Tutto sta nel vivere di poche certezze.


Gaia Linda Assennato

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mariarcangelo
29 de out. de 2020

Vorrei che tutti fossimo presi da incantamento.

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