L’opera poetica di Gilberto Isella, come già ho avuto modo di osservare, rivela una costante e capillare esplorazione della complessità del reale attraverso un lavoro certosino e meticoloso sul linguaggio. Pluristilismo, neologismi, forestierismi, termini mutuati dai linguaggi settoriali sono sperimentati in molte delle sue raccolte con esiti sempre molto felici, data la capacità del poeta di dare ad ogni parola, a ogni verso, quella pregnanza espressiva che solo la vera poesia può offrire al lettore attento.
Quella di Gilberto Isella non è una poesia “facile” ( se, a dire il vero, di facilità si possa parlare per questo genere letterario). Richiede, per nostra fortuna, impegno e sforzo intellettuale da parte del lettore, perché è poesia colta e nello stesso tempo densa di pathos.
In questa nuova raccolta di versi, L’occhio piegato (Book Editore, 2015) con prefazione di Vincenzo Guarracino, l’attenzione dell’autore si focalizza su uno dei tanti cosiddetti “non luoghi” del mondo contemporaneo, l’ipermercato. Questo tempio del consumismo, simbolo di quella che Bauman ha definito “società liquida”, sembra diventare nei versi di Isella una sorta di moderno Inferno dantesco, dove le merci-demoni infliggono pene ai dannati-consumatori: “E ti ritrovi monade piatta/cadenzata da un ammasso plurimerce/eco del big monetario e suo replay/air bag del tuo interno collasso/to big to fail” (pag.26) o, paradossalmente, un luogo di culto del prodotto di consumo, dove la sacralità è data dall’immagine pubblicitaria e dal messaggio occulto che induce ad acquistare il prodotto stesso “Il mercato è ateo?”/ “No, eroga icone. L’ateismo è aniconico” (pag. 28).
La raccolta è divisa in tre parti che, come osserva il prefatore, si mantengono stilisticamente omogenee in un continuo gioco di echi e rimandi, pur variando le tematiche trattate: la prima, più corposa, intitolata appunto Ipermarket, dove è presente, “l’ossessione della merce”, mentre nelle altre due l’attenzione si sposta rispettivamente “al mercato e al sistema delle banche” e “all’enigma di una libido censurata”. Significativi, come esempio del tema ricorrente nella seconda parte intitolata Migranti in Ade (ovvero il crisantropo), sono i versi dedicati al britannico Damien Hirst, uno dei più famosi rappresentanti delle tendenze dall’arte contemporanea le cui opere, dove torna costantemente l’idea dell’inevitabilità della morte, hanno raggiunto quotazioni astronomiche. Il mercato dell’arte è da Isella esplorato con sottile ironia, con richiami letterari che vanno dal VII canto dell’Inferno dantesco, dove troviamo le anime dannate degli avari e dei prodighi, al Canto contro l’usura di Ezra Pound (autore evocato anche nei versi a pag.81): la domanda se il denaro sia il mezzo o il fine dell’opera d’arte rimane in sospeso, lasciando al lettore la possibile risposta.
Interessante è la presenza costante della visione che un bambino ha di questo frattale del mondo rappresentato dall’ipermercato: l’occhio piegato sembra essere proprio lo sguardo del piccolo protagonista di alcune poesie, che vede il modo corroso dagli acidi del consumismo e dalle leggi del mercato da una prospettiva diversa, come dal basso verso l’alto, un mondo che sembra sospeso tra realtà e fantasia. Nelle poesie in forma di domanda e risposta tra la il figlio e la madre si trova la fresca semplicità della curiosità infantile, capace con poche, essenziali domande di andare al cuore dei problemi e in un certo senso di smascherare l’ipocrisia e la vacuità, i falsi valori e miti sui quali gli adulti hanno costruito il loro modo di vivere. Emblematici a tale riguardo sono i versi a pag. 54: “Mamma, quelli sono i piatti dove c’è da mangiare?”/ “No, sono i due piatti di una bilancia”/”li posso far andare su e giù?”/ “Non sono veri, sono dipinti sulla cartapesta”/ “allora li guardo soltanto”/ “Guardali, tesorino”/Due piatti, due pagine/Il cieco e il veggente, il diritto e la rovesciabile cosa.